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Asia, un paradiso perduto?

Giovedì 07:51:27
Novembre 13 2003

Asia, un paradiso perduto?

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SCOMPARE l’ennesimo paradiso terrestre. Le spiagge del sud-est asiatico, uno dei maggiori richiami per i turisti, che si affollano sulle rive del mare tropicale, sono in gran parte contaminate dai batteri, che, come avverte un comunicato dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) , comportano gravi rischi per la popolazione indigena e non. «In tutta la regione ci sono spiagge veramente disgustose, che si mescolano a siti incontaminati e sicuri», commenta Jamie Bartram, a capo del gruppo di ricerca che ha pubblicato il rapporto Oms. Conclusioni che potrebbero seriamente danneggiare il turismo in paesi che vivono soprattutto delle entrate provenienti dal popolo dei vacanzieri e che sono quindi particolarmente sensibili a una qualsiasi critica in materia di sicurezza ambientale. L’Oms ha quindi steso un velo pietoso sui nomi dei maggiori imputati, ma i risultati restano e non è difficile immaginare i principali imputati: qualsiasi area adiacente a città o villaggi che pompano i rifiuti in mare rappresentano un problema potenziale, suggerisce Bartram. E i problemi non sono da poco: si va dalla diarrea alle gastroenteriti, fino ad arrivare a disturbi respiratori e, in alcuni casi, alla morte.

E se scarseggiano i soldi per realizzare infrastrutture ormai inadeguate esistono pur sempre palliativi e rimedi provvisori. L’Oms, per esempio, suggerisce di non bagnarsi in concomitanza con le piogge, che fanno straripare fiumi e serbatoi di scarico, aggravando la situazione. È anche importante una informazione corretta e diffusa, per far comprendere i rischi dell’inquinamento e spingere i governi a provvedere alle proprie spiagge. Ma al momento «ci sono ancora molti rifiuti che vengono scaricati in mare e non ne viene trattato più del 20 per cento», conferma Chua Thia-eng, dell’Agenzia per l’ambiente delle Filippine per i mari dell’est Asia (Pemsea).

Eppure non mancano i motivi per guardare al futuro in maniera positiva. Herman Kong del Dipartimento per l’ambiente di Hong Kong dichiara per esempio che «il numero delle spiagge con acque “buone” (il che vuol dire che non si riscontrano affezioni associate al bagno) è aumentato da 9 nel 1986 a 23 nel 2002». Una politica in continua evoluzione, quella di Hong Kong, che sembra avere successo; un’esperienza che il territorio sarebbe lieto di condividere con il resto del mondo. E probabilmente le altre regioni trarrebbero grande vantaggio da queste informazioni, visto che i problemi di inquinamento sono destinati ad aggravarsi con l’accrescersi delle città . Problemi che, se ignorati, potrebbero colpire la salute (di indigeni e turisti) e di conseguenza l’economia del paese.

Source by ENEL_Boiler

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