
Asia, un paradiso perduto?
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SCOMPARE l’ennesimo paradiso terrestre. Le spiagge del sud-est asiatico, uno dei maggiori richiami per i turisti, che si affollano sulle rive del mare tropicale, sono in gran parte contaminate dai batteri, che, come avverte un comunicato dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) , comportano gravi rischi per la popolazione indigena e non. «In tutta la regione ci sono spiagge veramente disgustose, che si mescolano a siti incontaminati e sicuri», commenta Jamie Bartram, a capo del gruppo di ricerca che ha pubblicato il rapporto Oms. Conclusioni che potrebbero seriamente danneggiare il turismo in paesi che vivono soprattutto delle entrate provenienti dal popolo dei vacanzieri e che sono quindi particolarmente sensibili a una qualsiasi critica in materia di sicurezza ambientale. L’Oms ha quindi steso un velo pietoso sui nomi dei maggiori imputati, ma i risultati restano e non è difficile immaginare i principali imputati: qualsiasi area adiacente a città o villaggi che pompano i rifiuti in mare rappresentano un problema potenziale, suggerisce Bartram. E i problemi non sono da poco: si va dalla diarrea alle gastroenteriti, fino ad arrivare a disturbi respiratori e, in alcuni casi, alla morte.
E se scarseggiano i soldi per realizzare infrastrutture ormai inadeguate esistono pur sempre palliativi e rimedi provvisori. L’Oms, per esempio, suggerisce di non bagnarsi in concomitanza con le piogge, che fanno straripare fiumi e serbatoi di scarico, aggravando la situazione. È anche importante una informazione corretta e diffusa, per far comprendere i rischi dell’inquinamento e spingere i governi a provvedere alle proprie spiagge. Ma al momento «ci sono ancora molti rifiuti che vengono scaricati in mare e non ne viene trattato più del 20 per cento», conferma Chua Thia-eng, dell’Agenzia per l’ambiente delle Filippine per i mari dell’est Asia (Pemsea).
Eppure non mancano i motivi per guardare al futuro in maniera positiva. Herman Kong del Dipartimento per l’ambiente di Hong Kong dichiara per esempio che «il numero delle spiagge con acque “buone” (il che vuol dire che non si riscontrano affezioni associate al bagno) è aumentato da 9 nel 1986 a 23 nel 2002». Una politica in continua evoluzione, quella di Hong Kong, che sembra avere successo; un’esperienza che il territorio sarebbe lieto di condividere con il resto del mondo. E probabilmente le altre regioni trarrebbero grande vantaggio da queste informazioni, visto che i problemi di inquinamento sono destinati ad aggravarsi con l’accrescersi delle città . Problemi che, se ignorati, potrebbero colpire la salute (di indigeni e turisti) e di conseguenza l’economia del paese.