
In vino veritas
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Le semplificazioni sono l’extrema ratio di chi non ha argomenti.
La mia ansia di sapere è inesauribile e per questo frequento, dialogo, leggo, partecipo, domando, scrivo, viaggio e questo non mi basta mai.
Perché come diceva Socrate: “So di non sapere nulla“.
Accade così che mostri sacri come Josko Gravner si ricredano sulla solforosa, riconoscendo che uno dei più grandi progressi dell’enologia è stato per l’appunto l’utilizzo dello zolfo per proteggere i vini. Marcia indietro che doverosamente fece pure il compianto Didier Dagueneau, profeta della biodinamica nella valle della Loira.
Non sappiamo nulla... o forse tutto sappiamo se tutto accogliamo senza farne un dogma.
Che il vino invecchiato sia più buono è il più “relativo“ dei dogmi in campo vinicolo. Il culmine dell’espressività gusto-sensoriale è raggiunto in momenti diversi a seconda del campione preso in esame. Per saperne cogliere l’apogèo ci vuole “scienza“ e non basta l’esperienza. O meglio, la stessa esperienza deve essere condotta scientificamente, altrimenti serve solo ad ingigantire l’Ego e la propria supponenza.
Se si vuole veramente testare la capacità di un vino di sfidare il tempo va bevuto giovane e a distanza di regolari intervalli di tempo, preoccupandosi nel frattempo della perfetta conservazione delle bottiglie residue. Bisognerebbe, ad esempio, comprare svariate cassette della stessa tipologia di vino e degustarlo a cadenza annuale. Dopo aver serbato memoria o preso nota delle singole degustazioni, decretare una classifica di piacevolezza.
Ma quanti possono acquistare numerosi campioni della stessa bottiglia?Quanti possono assicurarne una perfetta conservazione?Quanti possono riprodurre le medesime condizioni psico-fisiche-ambientali al momento della fruizione del prodotto atte a creare una perfetta equità valutativa fra le diverse bottiglie dello stesso millesimo bevute in epoche diverse?
Al mondo, direi, nessuno. Forse Dio, assiso al suo celeste desco.
Per cui nel crescente consesso degli appassionati enofili il gioco più diffuso è una sorta di “roulette“ russa vinicola dove alla polvere da sparo si sostituisce il sughero di bottiglie vetuste e allo sparo il botto dello stappo. Frotte di sedicenti esperti pontificano sul momento giusto per dare la stura al nettare a volte faticosamente procurato e amorevolmente conservato e se il liquido versato nel bevante dovesse corrispondere ai propri gusti, fatalmente limitati, si conclude che il proprio sistema è quello giusto.
Poco importa se il momento migliore di quel vino è già passato o di là da venire.
Un pò di furbizia non guasterebbe.
Bisognerebbe, come minima cautela, riferirsi a quel che dicono e pensano i produttori del loro vino. Se ho una bottiglia di un grand cru di Chablis e il produttore dichiara che darà il massimo dopo dieci anni sarebbe imperdonabile attendere oltre il momento di goderne. Solo lui ha la quasi-certezza, avendo spesso in cantina scorte di vecchie annate, della presumibile evoluzione della sua creatura. Spesso ci si fa irretire da mirabolanti descrizioni di critici che ti fanno sognare universi gustativi improbabili. La schiera di chi beve “etichette“ è sempre più numerosa e sempre più folto è il gregge di chi coltiva questa attitudine. Capita così di leggere che Robert Parker, il numero 1 dei degustatori, dopo aver bevuto una bottiglia di Gruaud-Larose 1870 proveniente dalla «cave» della Tour d’Argent, celebre ristorante parigino, ebbe a dire: «un vino traboccante di vigore, incredibilmente fresco al palato, con un’acidità superba. Incredibile».
Essendo un vino ancora presente nelle cantine de La Tour d’Argent immaginate la speculazione che si è scatenata quando il ristorante le ha messe in vendita.
O che qualcuno abbia trovato, quasi ironicamente, in un bicchiere di Chateau Musar, proveniente dalla Valle della Bekaa in Libano, il chiaro sentore di polvere da sparo!
L’esperienza è nulla senza la scienza.
La cultura, l’informazione e la consapevolezza che ne consegue sono fondamentali per approcciare un vino.
E se un viticultore realizza un prodotto da bere giovane, come certi fantastici QBA tedeschi, è dannoso sottoporlo a sfibranti invecchiamenti atti solo ad adombrarne la freschezza. A sfidare il tempo ci pensino eventualmente i loro parenti “mit predikat“. Quelli sì possono dare emozione dopo 10-20-30 anni.
Fermo restando che ci sono alcune verità incontrovertibili.
Che l’ossigeno sia un nemico del vino è assunto universalmente condiviso al punto che i produttori spendono cifre iperboliche per ridurre fino ad annullare il contatto con l’aria fino al definitivo imbottigliamento. Basta favoleggiare pertanto su bottiglie stappate il giorno prima per berle il giorno dopo. O di bottiglie secolari trovate chissà dove, nascoste o riposte chissà quando, magicamente protette da legni, rocce, mari e ancora bevibili. Leggende. Alle quali piace credere perché siamo fatti per l’imponderabile:immancabilmente ci seduce.
Se non si hanno cantine e portafogli adeguati meglio bere subito... che la vite fruttifica tutti gli anni a miracol mostrare e a piaceri dispensare.
E’ la lezione che la vita e l’esperienza sempiternamente impartiscono a chi chiede ausilio alla “scienza“ per capirci un pò di più nel ginepraio di bottiglie che assediano la nostra fantasia e alimentano i nostri desideri. E se dovesse capitare la bottiglia vetusta, la si saprà apprezzare per quello che può dare ma anche per quello che ha già dato, con quel sentimento di gratitudine che si prova al cospetto di una natura così generosa nel dispensarci il dono più bello:l’oblio alcolico.
Perché, come diceva Pessoa:“Boa é a vida, mas melhor é o vinho“(La vita è bella, ma è meglio il vino)
Come sembrano voler suggerire gli ultimi due nettari che mi hanno emozionato: Hartmann Donà Blanc 2007, 60% Chardonnay-40% Pinot Bianco, 18 Mesi con i lieviti in botte e realizzato in quel di Colterenzio in Alto Adige e la Grande Cuvèe Comte Lafond 2008 del Baron de Ladoucette, splendido sauvignon di Sancerre.
Vini abbordabili nel prezzo, pronti, smaglianti per fragranza e mineralità, eleganti come un “grand cru“, dall’acidità che prospetta longevità... ma chi ci pensa godendo!
Questi sono i vini dei degustatori terrestri, accorti, a volte... e a malincuore... prosaici.
Gli altri vini, quelli da inginocchiatoio “mentale“, da elucubrazioni metafisiche, da narrazioni favolistiche, sono il sogno.
A noi non resta che attendere.
Ma non è affatto necessario che si avveri.
ROSARIO TISO
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