
LA CORTE DEI DIRITTI DELL'UOMO COMINCIA CON LE CONDANNE...
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News dalla Corte dei Diritti dell'Uomo. Proponiamo questa sentenza di estrema importanza.Nel caso Communaute genevoise d'action syndicale (CGAS) c. Svizzera (ricorso n. 21881/20) l'associazione ricorrente si è lamentata di essere stata privata del diritto di organizzare e partecipare a eventi pubblici a seguito dell'adozione di misure governative per contrastare il COVID -19.
Nella sentenza odierna della Camera1 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto, a maggioranza (4 voti contro 3), che vi fosse stata violazione dell'articolo 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
La Corte, pur non disdegnando la minaccia posta dal COVID-19 per la società e per la salute pubblica, ha tuttavia ritenuto, alla luce dell'importanza della libertà di riunione pacifica in una società democratica, e in particolare dei temi e dei valori promossi dall'associazione ricorrente secondo la sua costituzione, la natura generalizzata e significativa del divieto di manifestazioni pubbliche rientranti nell'ambito di attività dell'associazione, nonché la natura e la gravità delle eventuali sanzioni, che l'ingerenza nel godimento dei diritti tutelati dall'art. 11 non era stato proporzionato alle finalità perseguite. La Corte ha inoltre osservato che i tribunali nazionali non avevano condotto un controllo effettivo delle misure in questione durante il periodo in questione. Lo Stato convenuto aveva quindi oltrepassato il margine di discrezionalità accordatogli nel caso di specie. Di conseguenza, l'ingerenza non era stata necessaria in una società democratica ai sensi dell'articolo 11 della Convenzione.
Fatti principali
La ricorrente, Communaute genevoise d'action syndicale (CGAS), è un'associazione di diritto svizzero con sede a Ginevra. Il suo scopo dichiarato è quello di difendere gli interessi dei lavoratori e delle organizzazioni che ne fanno parte, soprattutto nell'ambito delle libertà sindacali e democratiche. Secondo l'associazione, organizza e partecipa a decine di eventi ogni anno nel cantone di Ginevra.
Nel caso di specie l'associazione ricorrente si è lamentata di essere stata privata del diritto di organizzare e partecipare a manifestazioni pubbliche a seguito dell'adozione di provvedimenti governativi volti a contrastare il COVID-19 ai sensi dell'Ordinanza O.2 COVID-19, emanata dal Consiglio federale il 13 marzo 2020 In base a tale ordinanza, a decorrere dal 16 marzo 2020, erano vietati gli eventi pubblici e privati. Il mancato rispetto del divieto era punito con la pena detentiva o con l'ammenda.
Il 26 maggio 2020 l'associazione ricorrente ha adito la Corte europea dei diritti dell'uomo, lamentando di essere stata obbligata, a seguito dell'emanazione della O.2 COVID-19, ad annullare una manifestazione prevista per il 1 maggio 2020 e di aver ritirato la sua richiesta di autorizzazione .
Dal 30 maggio 2020 il divieto di assembramenti è stato allentato (massimo 30 partecipanti). Gli eventi che coinvolgono più di 1.000 partecipanti hanno continuato a essere vietati fino alla fine di agosto 2020.
Il 20 giugno 2020 è stato revocato il divieto di eventi pubblici, sebbene i partecipanti fossero tenuti a indossare una maschera.
Reclami, procedura e composizione del Tribunale
Basandosi sull'articolo 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione, l'associazione ricorrente si è lamentata di essere stata privata del diritto di organizzare e partecipare a eventi pubblici a seguito delle misure governative adottate ai sensi dell'ordinanza O.2 COVID-19.
Il ricorso è stato depositato presso la Corte europea dei diritti dell'uomo in data 26 maggio 2020. La sentenza è stata emessa da una Camera di sette giudici, così composta:
Georges Ravarani (Lussemburgo), Presidente, Georgios A. Serghides (Cipro),
Darian Pavli (Albania),
Anja Seibert-Fohr (Germania),
Peeter Roosma (Estonia), Andreas Zünd (Svizzera), Frédéric Krenc (Belgio),
e anche Milan Blaško, cancelliere di sezione.
Decisione della Corte
Articolo 11 (libertà di riunione e di associazione)
Ammissibilità
Sulla questione dello status di vittima la Corte ha ritenuto che l'associazione ricorrente – la quale era stata obbligata a modificare il proprio comportamento e addirittura ad astenersi, al fine di evitare sanzioni penali, dall'organizzare eventi pubblici che avrebbero contribuito al raggiungimento dello scopo dichiarato – potrebbe dichiararsi vittima di una violazione della Convenzione.
Per quanto riguarda l'esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte ha osservato che all'epoca pertinente l'associazione ricorrente non aveva avuto un ricorso effettivo, disponibile in pratica, mediante il quale lamentarsi di una violazione del suo diritto di riunione ai sensi dell'articolo 11 del la Convenzione. In particolare, sebbene le ordinanze federali possano normalmente essere oggetto di una pronuncia pregiudiziale di costituzionalità da parte del Tribunale federale, anche in assenza di interesse corrente, tale giudice, nelle circostanze molto particolari del lockdown generale dichiarato dal Consiglio federale come parte degli sforzi per contrastare il COVID-19, non aveva esaminato nel merito le domande di libertà di riunione e non aveva valutato la compatibilità dell'Ordinanza O.2 COVID-19 con la Costituzione.
La Corte ha quindi dichiarato ammissibile il ricorso.
Meriti
La Corte ha ritenuto che il divieto di assembramenti pubblici, che faceva parte delle misure del governo per contrastare il COVID-19, costituisse un'ingerenza nell'esercizio da parte dell'associazione ricorrente del suo diritto alla libertà di riunione. L'ingerenza si era basata sull'Ordinanza O.2 COVID-19 ed era stata finalizzata alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui.
Sulla necessità del provvedimento in una società democratica, la Corte ha ribadito i principi
2 di cui in ********** e altri.
La Corte ha riconosciuto nella presente causa che la minaccia per la salute pubblica derivante dal COVID-19 era stata molto grave e che la conoscenza delle caratteristiche e della pericolosità del virus era stata molto limitata all'inizio della pandemia; di conseguenza, gli Stati hanno dovuto reagire rapidamente durante il periodo in esame. Ha anche tenuto conto degli interessi contrastanti in gioco nelle circostanze molto complesse della pandemia, e in particolare dell'obbligo positivo per gli Stati parti della Convenzione di proteggere la vita e la salute delle persone sotto la loro giurisdizione, ai sensi degli articoli 2 e 8 della la Convenzione in particolare.
La Corte ha ritenuto in via preliminare che il divieto assoluto di un determinato tipo di comportamento fosse una misura drastica che richiedeva forti ragioni per giustificarlo e richiedeva un vaglio particolarmente approfondito da parte dei giudici abilitati a soppesare gli interessi in gioco.
Tra il 17 marzo e il 30 maggio 2020 tutti gli eventi attraverso i quali l'associazione ricorrente avrebbe potuto svolgere la propria attività in conformità con il suo scopo statutario erano stati oggetto di un divieto assoluto. Secondo la giurisprudenza della Corte, un provvedimento generale di questo tipo richiedeva forti ragioni per giustificarlo e richiedeva un controllo particolarmente approfondito da parte dei tribunali abilitati a soppesare gli interessi in gioco. Anche supponendo che una tale ragione fosse esistita, vale a dire la necessità di affrontare efficacemente la pandemia globale di COVID-19, dall'esame della Corte sull'esaurimento delle vie di ricorso interne è emerso che nessun tale controllo era stato svolto dai tribunali, compreso il Tribunale federale . Pertanto, l'esercizio di bilanciamento tra gli interessi concorrenti in gioco, richiesto dal Tribunale ai fini della valutazione della proporzionalità di un provvedimento così drastico, non si è svolto. Ciò era particolarmente preoccupante in termini di Convenzione, dato che il divieto generale era rimasto in vigore per un periodo di tempo significativo.
La Corte ha aggiunto che, vista l'urgenza di intraprendere azioni appropriate per contrastare la minaccia senza precedenti rappresentata dal COVID-19 nelle prime fasi della pandemia, non era necessariamente prevedibile che si sarebbero tenute discussioni molto dettagliate a livello nazionale, e soprattutto coinvolgendo il Parlamento, prima dell'adozione delle misure urgenti ritenute necessarie per fronteggiare questa piaga mondiale. Tuttavia, in tali circostanze, un controllo giurisdizionale indipendente ed efficace delle misure adottate dall'esecutivo era tanto più vitale.
Quanto alla sanzione per la violazione del divieto di manifestazioni pubbliche di cui all'O.2 COVID-19, la Corte ha ribadito che l'irrogazione di sanzioni penali doveva essere giustificata da ragioni particolarmente forti e che l'organizzazione di un raduno pacifico non doveva normalmente comportare rischio di tali sanzioni. Nella specie, un nuovo articolo 10d era stato inserito nell'ordinanza O.2 COVID-19 il 17 marzo 2020. Secondo tale disposizione, chiunque avesse deliberatamente violato il divieto di manifestazioni pubbliche di cui all'articolo 6 dell'ordinanza era passibile di pena detentiva non superiore a tre anni o ad una multa (salvo in presenza di un reato più grave ai sensi del codice penale). Secondo la Corte, si trattava di sanzioni molto severe che potevano avere un effetto raggelante sui potenziali partecipanti o sui gruppi che cercavano di organizzare tali eventi.
Infine, la Corte ha sottolineato il fatto che, di fronte alla crisi mondiale della sanità pubblica, la Svizzera non ha fatto ricorso all'articolo 15 della Convenzione, che consentiva a uno Stato Parte di adottare determinate misure derogatorie agli obblighi della Convenzione in tempo di guerra o altra emergenza pubblica che minaccia la vita della nazione. Di conseguenza, le era stato richiesto di attenersi alla Convenzione ai sensi dell'articolo 1 e, nell'ambito della presente causa, di conformarsi pienamente ai requisiti di cui all'articolo 11, entro il margine di discrezionalità ad essa concesso.
Pur non ignorando affatto la minaccia rappresentata dal COVID-19 per la società e per la salute pubblica, la Corte ha tuttavia ritenuto, alla luce dell'importanza della libertà di riunione pacifica in una società democratica, ed in particolare dei temi e dei valori promossi dall'associazione ricorrente nella sua costituzione, della natura generalizzata e della durata significativa del divieto di manifestazioni pubbliche rientranti nell'ambito di attività dell'associazione, nonché della natura e gravità delle eventuali sanzioni, che l'ingerenza nel godimento dei diritti tutelati dall'art. 11 non era stata proporzionata alle finalità perseguite. Inoltre, i tribunali nazionali non avevano condotto un controllo effettivo delle misure denunciate durante il periodo in questione. La Svizzera ha così oltrepassato il margine di discrezionalità che le è stato concesso nel caso di specie. Di conseguenza, l'ingerenza non era stata necessaria in una società democratica ai sensi dell'articolo 11 della Convenzione e si era quindi verificata una violazione di tale disposizione.
Giusta soddisfazione (articolo 41)
La Corte ha ritenuto (4 voti contro 3) che l'accertamento di una violazione dell'articolo 11 costituisse un'equa soddisfazione sufficiente rispetto a qualsiasi danno morale subito dall'associazione ricorrente. Riteneva inoltre che la Svizzera doveva pagare all'associazione richiedente 3.000 euro (EUR) a riguardo di costi e spese.
Opinioni separate
Il giudice Krenc ha espresso parere favorevole, affiancato dal giudice Pavli.
I giudici Ravarani, Seibert-Fohr e Roosma hanno espresso un'opinione dissenziente congiunta. Tali pareri sono allegati alla sentenza.
La sentenza è disponibile solo in francese.
Il presente comunicato stampa è un documento prodotto dal Registro. Non vincola la Corte. Decisioni, sentenze e ulteriori informazioni sulla Corte sono disponibili su www.echr.coe.int.
La Corte europea dei diritti dell'uomo è stata istituita a Strasburgo dagli Stati membri del Consiglio d'Europa nel 1959 per occuparsi di presunte violazioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950.
1. Ai sensi degli articoli 43 e 44 della Convenzione, questa sentenza della Camera non è definitiva. Durante il periodo di tre mesi successivo alla sua pronuncia, ciascuna parte può chiedere il rinvio della causa alla Grande Sezione della Corte. Se viene presentata tale richiesta, un collegio di cinque giudici valuta se il caso meriti un ulteriore esame. In tal caso, la Grande Camera ascolterà il caso e emetterà una sentenza definitiva. Se la richiesta di rinvio viene respinta, la sentenza della Camera diverrà definitiva in quel giorno. Una volta che una sentenza diventa definitiva, viene trasmessa al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa per la supervisione della sua esecuzione. Ulteriori informazioni sul processo di esecuzione sono disponibili qui: www.coe.int/t/dghl...ring/execution.
2 ****** e altri, n. 37553/05, §§ 142-46, CEDU 2015.