
Meno base e più eletti. I partiti italiani sono ancora vivi
Luciano Bardi, Piero Ignazi e Oreste Massari forniscono un’analisi sistematica dei cambiamenti organizzativi dei partiti italiani negli ultimi 15 anni. Leader e parlamentari i veri vincitori
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Milano: Bocconi su Ladysilvia; La notizia della morte dei partiti, corsa per tutta Italia all’indomani di Tangentopoli, è senz’altro esagerata, ma dagli inizi degli anni ’90 a oggi tutte le formazioni politiche si sono trasformate secondo modalità che le scienze sociali non avevano ancora esplorato sistematicamente.
Ad analizzare la struttura dei partiti italiani degli ultimi 15 anni secondo le tre dimensioni degli iscritti, dirigenti ed eletti ci pensano, ora, Luciano Bardi, Piero Ignazi e Oreste Massari in I partiti italiani. Iscritti, dirigenti, eletti (Università Bocconi editore, 2007, 318 pagine, 24 euro), nelle librerie in questi giorni. Il vertiginoso declino nel numero degli iscritti, passati dai 4 milioni della fine degli anni ’80 ai 2 milioni di dieci anni dopo, per poi risalire fino a 2,4 milioni nel 2003, non sarebbe indice della crisi dell’idea di partito, secondo i tre autori, ma dell’emergere di nuove forme organizzative e di una nuova struttura dei rapporti tra iscritti, dirigenti ed eletti. Il partito di massa non esiste più e se al suo posto non si è affermato un modello davvero alternativo, si può almeno! individuare una serie di regolarità .
I rapporti di forza tra le basi dei diversi partiti sono stati sconvolti, con l’area dell’ex Pci che ha perso più iscritti di tutti, passando dagli 1,1 milioni del 1991 ai meno di 700.000 del 2004, superata nel complesso dall’area ex democristiana. Tra i singoli partiti, gli iscritti di An hanno recentemente sopravanzato quelli dei Ds, con Forza Italia che oscilla moltissimo a seconda del lancio di campagne legate a scadenze elettorali e la Lega, calata per anni, che sembra ora essersi assestata. La quota di iscritti rispetto agli elettori (attorno al 4,8%) rimane piuttosto alta anche se la base sembra essere alla ricerca di una nuova identità , dopo avere perso gran parte dei privilegi clientelari che sembravano indicare, in Italia, l’opportunismo come una delle principali ragioni di adesione ai partiti.
Dopo una fase di panico istituzionale, all’indomani delle inchieste di Mani Pulite, nel corso della quale la dicitura stessa di partito è scomparsa dai nomi di gran parte delle compagini politiche, e durante la quale persino le sezioni hanno spesso cambiato etichetta, diventando circoli, club e associazioni, le forme organizzative dei tradizionali partiti di massa hanno finito per riaffermarsi almeno esteriormente, anche se il controllo del partito da parte della base è ormai solo un ricordo, se non un mito, del passato.
Così pressochè tutte le formazioni condividono una struttura basata fondamentalmente su un leader, un organo esecutivo di supporto (la segreteria), un organo di direzione politica, un organo di discussione e deliberazione (comitato, consiglio ecc.) e un congresso, contraddistinti dalle etichette più varie. Sono però in corso quasi ovunque processi di centralizzazione e verticalizzazione, con gli organi collegiali che perdono potere a favore del leader e degli organi esecutivi, non solo nei partiti di più recente formazione e connotati dall’immagine di una singola personalità carismatica, ma anche in quelli più movimentisti, come Verdi e Radicali, che prevedono meccanismi di delegittimazione del leader da parte della base talmente complessi da non essere, nella pratica, mai attivati.
A seconda della direzione del flusso delle nomine, gli autori suddividono i partiti in due categorie: top-down (Forza Italia e An) e bottom-up (Verdi, radicali e i partiti eredi del Pci e gran parte di quelli gemmati dalla Dc), con due compagini (Margherita e Lega) che rimangono a metà strada.
La componente che ha acquisito maggiore potere negli ultimi 15 anni è, però, quella degli eletti. Tanto per cominciare la forma più importante di finanziamento, anche per i partiti più piccoli, è quella pubblica che, prendendo la forma di rimborso elettorale, dipende dagli esiti del voto. Gli eletti, in molti casi, devolvono inoltre parte dei propri emolumenti al partito, consentendone un più agevole funzionamento. Si è creata una forte sovrapposizione tra eletti e dirigenti della struttura centrale, mentre gli staff parlamentari, che in molti casi superano per numero di addetti quelli del partito centrale ridimensionati anche per motivi economici, sono diventati essenziali per la gestione delle formazioni politiche.
Luciano Bardi insegna sistemi politici comparati all’Università di Pisa.
Piero Ignazi insegna politica comparata all’Università di Bologna.
Oreste Massari insegna scienza politica all’Università di Roma La Sapienza.
LA REDAZIONE Ladysilvia









